Segnale d’aiuto #SignalForHelp: cosa fare?

Durante il lockdown del 2020, una fondazione canadese femminista ha diffuso un gesto della mano per segnalare un abuso domestico, anche in presenza dell’aggressore. Lo vedete nell’immagine sotto presa direttamente dal loro sito.

Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la violenza domestica è un fenomeno molto diffuso che riguarda ogni forma di abuso psicologico, fisico, sessuale e le varie forme di comportamenti coercitivi esercitati per controllare emotivamente una persona che fa parte del nucleo familiare. La stragrande maggioranza delle vittime sono donne: qui i dati ISTAT.

Signal for Help Canadian Women

Dato che il segnale ha ormai raggiunto livelli di riconoscimento internazionale e anche in Italia comincia a girare, ne parliamo anche qui perché se davvero diventasse conosciuto da tutti, potrebbe davvero diventare un modo sicuro per segnalare una violenza domestica ed è importante quindi che possa cominciare a far parte del nostro alfabeto gestuale.

Che cosa si deve fare quando si vede un segnale di questo tipo? Ci rifacciamo alle regole proposte da chi ha diffuso il gesto e ad un articolo de Il post che le riporta in maniera molto chiara.

Innanzitutto è importante tenere a mente che non ci si può sostituire alla donna o alla persona che sta subendo violenza denunciando a posto suo, è importante rispettarne i tempi e non entrare in relazione in maniera impositiva. La “Guida alla solidarietà di vicinato” dà suggerimenti molto concreti ed interessanti. Altrettanto interessanti i consigli di Casa Donne e di Gruppo Polis.

Se non si conosce la persona che ci ha mostrato il segno, è necessario entrare in contatto con un centro anti violenza o chiamare il numero antiviolenza e stalking 1522 per avere istruzioni precise sul comportamento da tenere e sulle azioni da compiere adeguate alla contingenza specifica.

Se si conosce la persona che ci fa il gesto, è importante capire di cosa ha bisogno e cosa si aspetta da noi. Si può entrare in contatto telefonico, per esempio, ponendo domande le cui risposte possano essere “sì” o “no” e non costringano la persona a parlare discorsivamente oppure scrivere attraverso chat e social ponendo domande generiche; spesso infatti le donne vittime di violenza familiare, in periodo di pandemia, condividono l’abitazione con il proprio aggressore molte ore al giorno e i devices sono sotto controllo.

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