Brigate Rosse, larp e giornalismo superficiale

In queste ultime ore ho assistito all’accanirsi di una manica di rappresentanti di pessimo giornalismo contro i partecipanti e gli organizzatori di un larp, “Ultimo Covo”, il cui tema era il terrorismo e la vita nell’Italia del 1981, un evento organizzato dal collettivo Terre Spezzate. L’accusa che viene mossa è quella di superficialità e inopportunità di “giocare” ai terroristi come si gioca a Monopoli oltre che di apologia delle Brigate Rosse.

Superfluo dire che se questi signori si fossero premurati anche solo di informarsi come comanderebbe la loro professione su cosa sia un larp, avrebbero scoperto che:

  • Nell’acronimo larp (Live Action Role Play) in italiano “Gioco di Ruolo dal Vivo”, la parola gioco è intesa come “messa in scena” e in maniera molto chiara questo concetto che sottolinea l’ispirazione teatrale ed interpretativa dell’attività è espresso in ogni paginetta di presentazione degli eventi. Inoltre, aggiungo io, Role Playing, Role Training e Role Creating sono attività di stampo educativo e psicologico che già all’inizio del 1900 erano impiegate, così come lo sono oggi, per favorire l’apprendimento di comportamenti adattativi alla società.
  • L’evento in questione, a cui ho preso parte in prima persona e all’interno del quale interpretavo una ultracinquantenne ex partigiana fortemente normativa, ligia, onesta e contraria a qualsiasi tipo di violenza, metteva in scena non l’apologia delle Brigate Rosse bensì gli eventi immediatamente precedenti alla liberazione del Generale Dozier in un momento storico che vedeva il tramonto del terrorismo in Italia e definiva una rinnovata società in cui la lotta operaia cominciava ad assumere tinte diverse da quelle degli anni precedenti.

Come si può leggere dalla pagina di presentazione dell’evento, l’ambientazione era atta a muovere i partecipanti

“… sulla difficile situazione di un immaginario villaggio operaio del Nord Italia durante le ultime fasi del rapimento del generale americano James Lee Dozier da parte delle Brigate Rosse. Attorno al rapimento, fulcro del gioco di una parte dei personaggi, ruoteranno le lotte e le conquiste della realtà operaia, i tentativi di affermazione di gruppi di studenti e la vita quotidiana di persone comuni, coinvolte spesso loro malgrado in quel periodo di grandi stravolgimenti e contraddizioni”.

  • L’intero gruppo dei partecipanti all’evento (persone di tutte le età, dai 20 ai 50 anni) aveva quindi un ruolo ispirato a persone ed eventi realmente accaduti da interpretare e mettere in scena per circa due giorni e mezzo, rappresentanti uno spaccato sociale e politico di quel momento storico e l’ispirazione stessa dell’evento (così come il precedente evento ad ambientazione storica “I Ribelli della Montagna”) era strettamente legata al fornire l’opportunità di rivivere e quindi studiare in modo esperienziale la Storia a persone che in quel periodo non erano neanche nate o che erano bambini o poco più.
  • L’opportunità che i larp ad ambientazione storica offrono ai partecipanti è quello di vivere i panni di persone diverse da sé, di sperimentare relazioni e mondi diversi ma soprattutto l’attività di live action role play non mette le persone nei panni di eroi o personaggi iconici ma le mette nella condizione di entrare nella quotidianità storica e di vivere le parole, il cibo, la musica, la moda, la politica e l’organizzazione sociale del periodo storico che caratterizza l’ambientazione in qualità di… semplici persone comuni. Difficile nevvero?

Il fatto che delle persone siano inorridite a vedere i partecipanti di una attività di ispirazione psicoeducativa e teatrale alzare il pugno e interpretare le BR ancora non mi risulta commestibile, soprattutto se questo inorridire è legato alla non conoscenza di ciò che davvero stava accadendo.

Il larp storico e in particolare “Ultimo Covo” non parla di eroi e malvagi, non parla di vincitori e vinti ma parla di vicende umane e di drammi legati ad un periodo oscuro della nostra vita nazionale. Forse è per questo che del larp (che è una rappresentazione che non prevede un pubblico) si fatica a comprenderne lo scopo: non ci si mostra ad un pubblico, non ci si accanisce contro gli altri giocatori per vincere o per mostrarsi eroi, non ci sono buoni o cattivi, non si seguono copioni cristallizzati ma ci si impegna nel valorizzare le proposte interpretative dei compagni di esperienza e di creare delle scene che possano essere significative che chi le vive, in primis attraverso lo strumento del ruolo e del personaggio, oltre che dei costumi e delle scenografie. Insomma, si insegue la complessità e si presta ascolto agli altri.

I larp possono essere un potente mezzo di cultura e divulgazione, al pari di mezzi quali cinema, libri o quant’altro. La differenza principale è che mentre molti altri media sono passivi, esperienze di questo tipo sono “attive”, permettono cioè l’interazione tra i partecipanti e la costruzione della conoscenza in base all’esperienza della semirealtà dove il personaggio e la storia possono essere fittizi ma le emozioni provate spesso sono vivide e segnanti (e chi è confidente con le tecniche teatrali lo può certo capire).

La metodologia attiva (divulgazione, educazione, psicoeducazione, terapia, formazione e didattica) è diffusissima in Europa, negli Stati Uniti e in Sud America e lo psicodramma  fa parte di queste metodologie ed è per questo che ne sono innamorata, così come sono innamorata del larp e di molte delle persone che vi si appassionano.

La crescita, la comprensione, il sapere e la scoperta attraverso dei ruoli affidati o creati, attraverso la rievocazione e il gioco corale di interpretazioni improvvisate va a stimolare una consapevolezza di sé profonda e una cooperazione tra individui e gruppi che affonda le radici sul bene comune.

E ciò è cosa rara negli ultimi tempi di carestia relazionale emotivamente autentica.

Provate un larp anche voi.

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“Ultimo Covo” foto tratta dal larp di Terre Spezzate

 

 

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